Il napoletano è uno dei dialetti più prestigiosi al mondo, il più utilizzato in ambito artistico e il più imitato. Tutti ne parlano, insomma, ma quanti lo conoscono realmente?
A tal proposito, abbiamo chiesto al prof. Pietro Maturi, docente di linguistica italiana presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, alcuni chiarimenti sulle origini e sull’evoluzione di questo dialetto.
Il napoletano è uno dei dialetti più diffusi e conosciuti al mondo. Inconfondibile e motivo di vanto per i partenopei, spesso non si ha piena consapevolezza del suo valore. Quali sono le sue origini?
Come tutti i dialetti italiani, il napoletano deriva direttamente dal latino, attraverso una evoluzione continua che dura da quasi due millenni e che di generazione in generazione ha trasformato il latino parlato nell’attuale napoletano. Esattamente lo stesso processo avvenuto in tutte le parti dell’area linguistica romanza. Inoltre, come tutti i dialetti, il napoletano ha avuto moltissimi contatti con altre lingue. Innanzi tutto, bisogna ricordare che Napoli, fondata e abitata da greci, nell’età classica era ancora di lingua greca, quindi all’arrivo del latino quest’ultimo ha ricevuto in eredità alcune parole di origine greca. Inoltre, durante gli ultimi due millenni, Napoli ha avuto contatti politici, commerciali e linguistici con popoli di lingua osca, germanica, araba, greco-bizantina, francese, catalana, spagnola, inglese, eccetera, e ogni contatto ha lasciato qualche piccolo ricordo nel napoletano.
Un paio di anni fa si è diffusa in rete la notizia, rivelatasi poi una bufala, del napoletano come patrimonio UNESCO, in quanto non un dialetto, ma bensì una lingua a tutti gli effetti. Crede che questo riconoscimento sarebbe meritato?
Il napoletano è un dialetto che, a differenza di molti altri dialetti, possiede una straordinaria letteratura, soprattutto nell’ambito del teatro, della poesia, della novella, della canzone, dell’opera lirica, che ne fa uno dei dialetti più prestigiosi del mondo, e quindi ben venga un riconoscimento internazionale. L’Unesco però stravolge i termini della questione quando considera il napoletano una lingua parlata in sette-otto regioni italiane, dalle Marche alla Calabria. Il napoletano è il dialetto di Napoli. Le altre regioni hanno i propri dialetti, come le province della Campania hanno i propri dialetti, e così anche i comuni più vicini a Napoli, ciascuno dotato di un idioma locale diverso da quello della capitale partenopea.
A partire dal mese di marzo, l’Università Federico II darà a tutti la possibilità di frequentare in e-learning un corso di dialettologia italiana. Alla fine del corso, in cui è previsto un focus particolare sugli idiomi campani, sarà prodotto anche un «Dizionario etimologico storico del napoletano». Qual è il suo parere rispetto a questa iniziativa?
Già da molti anni i colleghi e le colleghe del dipartimento di Studi umanistici tengono seminari dialettologici e svolgono fondamentali ricerche sul napoletano e su altri dialetti. La novità riguarda la disponibilità online dei materiali del corso, che è un ulteriore passo avanti nell’offerta formativa sul napoletano e sui dialetti in generale. Del resto anche il nostro dipartimento di Scienze sociali ha offerto per molti anni un corso di Dialettologia campana, molto apprezzato dagli studenti, e tenuto dal sottoscritto, e sta organizzando nuovi seminari sul tema per il prossimo anno accademico.
Dal passato ad oggi il napoletano ha sicuramente subito dei cambiamenti. Basta pensare ai vari impieghi di questo dialetto nel mondo dell’arte e dello spettacolo: dalla musica classica napoletana al neomelodico fino al rap, dal teatro primo novecentesco al cabaret, dalle fiction ai reality show. Sulla base di un confronto tra i vari ambiti di applicazione e tenendo presente l’eventuale nascita di neologismi, come giudica l’evoluzione del napoletano nel tempo?
Il napoletano esiste perché tutte le lingue cambiano, e il latino è cambiato al punto da diventare napoletano, siciliano, veneziano, portoghese, rumeno, eccetera. Quindi non dobbiamo meravigliarci che anche il napoletano cambi. Il cambiamento riguarda in particolare il lessico, che si sta modificando per influenza dell’italiano e dell’inglese. Ma c’è un altro importante tipo di cambiamento in corso: sta aumentando la visibilità del dialetto attraverso i media e si sta diffondendo l’uso del dialetto come veicolo di prodotti artistici progressivi. Tutto questo da un lato rafforza la vitalità del napoletano e dall’altro ne accelera l’evoluzione. Le due cose, vitalità ed evoluzione, sono strettamente connesse e smentiscono le previsioni negative dei pessimisti.
Secondo l'Atlante UNESCO delle lingue del mondo, le lingue considerate in pericolo nell'Unione Europea sarebbero 128. Nella lista compaiono anche sardo, siciliano e napoletano. Quale sarà, secondo lei, il futuro del dialetto napoletano?
Nessuno può prevedere il futuro. La storia delle lingue è legata a fattori politici e culturali non prevedibili. Quando Napoli fu fondata dai greci, nessuno poteva immaginare che circa nove secoli più tardi il greco sarebbe scomparso da Napoli e, dopo strenua resistenza, sarebbe stato completamente sopraffatto dal latino. Cosi come nessuno nell’anno Mille poteva immaginare che il dialetto di Firenze, oggi chiamato italiano, sarebbe diventato la lingua più parlata a Napoli, insieme al dialetto locale. La storia linguistica è fatta di lunghissime continuità ma anche di profondissimi stravolgimenti. Stiamo a vedere.
Fabiana Carcatella
Riproduzione riservata
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