E’ con una delle chiavi di volta dell’intera pellicola che il regista Mauro Di Rosa introduce lo spettatore all’interno del Rione Medea. Presentato come zona di svago e relax, il quartiere è tutt’altro che un’oasi. La telecamera presta il suo sguardo allo spettatore in maniera discreta, quasi a non voler strappare il velo di apparenza che avvolge il tutto.
L’ingresso nel rione, e nella vita dei personaggi, avviene in maniera lenta e graduale. Prima brevi stralci di vita, per attirare l’attenzione e destare curiosità, poi una panoramica tra strade e quotidianità, tra grigi palazzoni e varietà etnica.
L’ingresso nel rione, e nella vita dei personaggi, avviene in maniera lenta e graduale. Prima brevi stralci di vita, per attirare l’attenzione e destare curiosità, poi una panoramica tra strade e quotidianità, tra grigi palazzoni e varietà etnica.
Medea,
un riferimento non casuale al mito, è
distruzione. Una distruzione che, però, può portare alla rigenerazione. Qualche volta, non
sempre. E’ il caso di Michele, il cui coraggio lo conduce ad una battuta
d’arresto, ma solo temporanea. E’ il caso del super papà che si libera di un
peso troppo grande per portare in salvo la propria famiglia. Non è il caso di
Lello, che nel momento in cui decide di essere Raffaele perde la vita. O forse
si, punti di vista. Rompere le catene che recludono nella prigione della
rassegnazione implica un rischio che vale la pena correre anche in cambio di un solo attimo in cui essere se stessi.
Figli
di Medea è un cortometraggio che non lascia
indifferenti. La realtà che viene proposta non è altro che una proiezione di
quella dello spettatore. I rimandi a tematiche
attuali e ferite aperte della nostra
società, come prostituzione, criminalità, disoccupazione e rifiuti tossici,
conducono ad un’immedesimazione, quasi totale, nei personaggi e nelle vicende
raccontate. Un avvicinamento al quale si contribuisce anche attraverso
l’utilizzo di un linguaggio familiare.
Durante lo scorrere delle immagini il
sentimento predominante è quello della compassione, nella sua accezione più
antica di ‘soffro insieme a’. Una
partecipazione alla sofferenza dell’altro non sterile, ma generatrice di
innumerevoli sbocchi di riflessione.
Per avere qualche altra info su "I Figli di Medea" clicca qui:
http://www.vienianapoli.com/2015/12/i-figli-di-medea-il-cortometraggio-di.html
Fabiana Carcatella
Riproduzione Riservata
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